L’insostenibile pesantezza dell’invecchiare. Un concetto profondo.
Profondo, come dicono in tanti oggi, a prescindere. Da scriverci un saggio, da farci un film. Per alcuni, uno status impossibile da sopportare.
Dissento.
È così piacevole accorgersi del progressivo aumentare di quei segni sulla pelle tanto gradevoli, sino a ieri semplici segni d’espressione, divenire giorno dopo giorno un canyon dalle gole più profonde.
E che dire di quegli incomparabili sbalzi d’umore che da sbellicanti risate al limite dell’incontinenza e degli spasmi alla colecisti si tramutano in pianti a dirotto sul filo della tragedia greco romana e le lacrime vanno a fluire dentro le anse dei suddetti canyon. Facendo apparire immagini del nostro ego al limite dell’urlo di Munch.
Dorian a confronto è un adone nello specchio delle nostre brame.
Un’invalidante estasi poi ci appaga se ci soffermiamo sulle onde del corpo che, a scendere, assumono sempre più la geometria solida di una bottiglia di grappa, dal contenuto flaccido.
Ma è bello così, accettare che non siamo più donzelle, che la beleza da l’ asan ormai l’è pasada da un toc, che forse il pantaloncino scosciatissimo è meglio lasciarlo alla Aniston che ci fa invidia il semplice nominarla.
Senza offesa, continuo a convincermi che ho altre qualità. Nessuno si senta escluso.
E dopo questa terapia di autoconvincimento sono pronta a scofanarmi un pacchetto di Oreo. Notte